Decennale morte P. Taddei
Commemorazione di Antonio Pinna Vistoso nel Decennale della morte
Padre Giovanni Serafino Taddei
Sassari - Aula Magna Università
30 Gennaio 2002
E' forse il caso di domandarci, ad oltre dieci anni dalla sua morte, perché la figura del Padre Taddei sia ancora così viva in mezzo a noi ed abbia dato occasione più volte di riunire autorità fedeli conoscenti e amici per ricordare la sua vita. Abbiamo presenti i nomi di tante altre personalità, di tanti sacerdoti, degnissimi e impegnati, dei quali nessuno ha fatto ricordo.
Vi è una spiegazione contingente e cioè che Padre Taddei ha lasciato un'opera importante, il Centro di Preparazione alla Famiglia, che si è fatto carico, in diverse occasioni, di ricordarne la figura.
Ma la spiegazione non può essere solo questa. La spiegazione è da trovarsi nella singolarità di quest'uomo, che ha passato a Sassari buona parte della sua vita (oltre 40 anni), che ne provoca cosi spesso il ricordo.
E' forse arrivato il momento di domandarci che cosa fossero queste specificità che ne facevano un uomo, un amico e un sacerdote diverso dagli altri. Io credo di poter iniziare queste mie considerazioni dal ricordo di quella mattina del 1° febbraio del 1950, era una domenica, nella quale verso le 10 del mattino egli approdò nel piazzale di S. Agostino ove io mi trovavo con i ragazzi dell'associazione. Io avevo 18 anni e frequentavo la terza liceo classico. Si vide arrivare una carrozza e da questa scese un giovane Padre Domenicano (non tanto giovane dato che aveva già 34 anni) il quale mentre si preoccupava di pagare la corsa al carrozziere e di scaricare le sue valigie esclamava a voce alta, comprensibile da tutti, "O Dio, o Dio, dove sono capitato". Era avvenuto che il carrozziere per non affaticare troppo il cavallo facendogli affrontare la salita di Via Michele Coppino, aveva preferito percorrere Via delle Conce, degradata oggi ma assai più degradata allora,e cosi lo aveva scaricato in P.za S. Agostino davanti ad una chiesa dalla facciata scrostata, un convento costituito da una modesta casa a due piani ed a fianco due magazzini, due case basse, una delle quali costituiva la sede del Gremio dei Viandanti e l'altra la sede dell'Associazione di Azione Cattolica.
Se pensiamo che il pomeriggio precedente il Padre Taddei era partito da Firenze da P.za S. Marco, da quel convento una parte del quale è affrescata dal Beato Angelico, è evidente che il salto era stato notevolissimo. Ecco perché nella sua lettera di commiato del 2 luglio 1991 gli afferma testualmente: "lo venivo da Firenze e non vi nascondo che non venni volentieri. Sapevo però di fare la volontà del Signore. Guardando le cose a distanza di tempo non trovavo difficoltà per pregiudizi, ma perché lasciavo un mondo dov'ero ben inserito e dove avevo passato tutti gli anni della guerra e quelli del primo dopoguerra. Li aveva sofferto ed anche rischiato,li mi ero abbondantemente speso per gli altri e li ero legato da salde amicizie ed affetti. Molti rapporti sono ancora vivi.
Ero arrivato ad Olbia il l° febbraio 1950 e dal 7 marzo divenni il nuova parroco (il secondo) di S. Agostino. In quei giorni mi sentii come schiacciato da un peso enorme".
Una delle prime attività alla quale si dedicò fu quella delle confessioni e pochi giorni dopo mi avvicinò e mi chiese: "Senti Antonio, che cosa è un frastemo?" Avendo da me appreso che il termine frastemo significa ingiuria o nei peggiori dei casi bestemmia, tirò un sospiro di sollievo e mi disse "Meno male: tutte le vecchiette vengono a confessarsi di aver tirato un frastemo: temevo che si trattasse di sassi."
Penso di poter dire che gli elementi peculiari del suo carattere, il senso dell'amicizia e l'attenzione pastorale, la completa estraneità e contrarietà all'ingiustizia e la preoccupazione di impegnare in attività apostoliche quanti gli erano vicino, queste tre caratteristiche siano proprio derivate dalla sua esperienza fiorentina.
Poco dopo l'ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1939, dopo altri brevi incarichi e fino al 1950 egli rivesti l'incarico di vice parroco di S. Marco di Firenze.
Ma la sua era una attività tutta particolare.
Sulla base della dolorosa esperienza degli anni della guerra quando insieme a La Pira ed altri due Padri Domenicani avevano intrapreso un pericoloso impegno di assistenza agli ebrei, egli aveva continuato (tutti sappiamo che S. Marco è adiacente ad alcune facoltà universitarie) questa sua attività con gli ebrei, con i protestanti e con il mondo universitario di Firenze. Mi raccontava che a volte, invitato a cena da amici ad alto livello culturale, si era rimasti a chiacchierare ed a discutere per tutta la notte per cui aveva fatto appena in tempo ad arrivare a S. Marco alle sette meno cinque della mattina per indossare i paramenti e celebrare la Messa.
Quindi, a fianco di un tipo di apostolato rivolto alla massa, egli svolgeva un valido impegno apostolico rivolto alle singole persone a contatto con i problemi dei singoli.
Rimasi subito molto colpito dal fatto di trovarmi davanti un religioso, un sacerdote del tutto originale e diverso da quelli che fino a quel momento avevo conosciuto: era schietto, spontaneo, senza alcuna supponenza o prosopopea e lo aiutava in tale schiettezza anche la bella parlata toscana. Aveva interessi anche culturali tutti diversi da quei preti che fino a quel momento avevo avvicinato: ne ebbi la prova quando arrivarono le casse con i suoi libri e lo aiutai a metterli in ordine (si fa pér dire) nella vecchia libreria del convento.
A differenza dei libri di soggetto religioso che avevo visto nella biblioteca della Silvio Pellico o nelle biblioteche private dei sacerdoti che avevo frequentato, non aveva i soliti libri di teologia e morale che si usavano a Cuglieri (tutti scritti da Gesuiti) ma aveva libri naturalmente di provenienza domenicana ma con titoli diversi e molto più stimolanti; aveva poi tanti libri che riguardavano Firenze fra cui (siamo nel 1950) dei meravigliosi libri con illustrazioni a colori sul le bellezze della città. Mi resi subito conto che andava molto d'accordo col padre superiore Padre Raffaele Cai (che era già a Sassari dal 1947) che come lui era nato a San Miniato La Rocca in provincia di Pisa ma che aveva una decina d'anni più di lui.
Il Padre Cai era un famoso teologo domenicano che aveva pubblicato per Marietti le traduzioni in italiano e le edizioni critiche dei commenti di S. Tommaso alle lettere di S. Paolo e che, terminato il suo incarico di superiore provinciale, si era ritirato a Sassari per completare i suoi studi, frequentando contemporaneamente la FUCI ed i laureati Cattolici ove teneva spesso profonde relazioni che furono occasione di approfondimento teologico per tanti giovani di quegli anni. Loro due e il frate converso Fra' Giovanni Verona, una persona di grandi capacità musicali e tecniche (sapeva fare di tutto anche riparare gli apparecchi radio) formavano un trio affiatatissimo: fra di loro si chiamavano il Cai il Taddei e Nanni.
Ho già detto della sua schiettezza è della sua comunicativa e per questo suo carattere egli realizzò subito una grande sintonia con l'arcivescovo di Sassari Mons. Arcangelo Mazzotti anche lui noto per la sua spontaneità. Una volta, durante una riunione, ad una dirigente dell'Azione Cattolica Mons. Mazzotti aveva detto: t'Signorina, si vesta bene.
Sembra un fagotto." Il Padre Taddei aveva anche un gran senso della giustizia: quando vedeva delle cose storte diceva con molta energia "Non mi garba" "A me non mi garba mica": e fu proprio nell'interesse di Mons. Mazzotti che utilizzò tale sua caparbietà nel cercare di rimediare ad una grave ingiustizia.
La salute di Mons. Mazzotti andò déclinando dal 1957 in avanti e nel 1958 sopravvenne una paresi alle gambe che si estese ad altre parti del corpo e bloccò anche il braccio sinistro.
Il 18 novembre del 1958 Mons. Mazzotti venne in pratica privato delle sue facoltà episcopali e nominato Amministratore Apostolico della diocesi "sede plena" Mons. Francesco Spanedda. Mons. Mazzotti sintetizzò la sua posizione in una lettera inviata al Padre Provinciale dei Francescani di Milano il 24 marzo 1959 "Le mie condizioni sono poco su, poco giù, sempre le stesse anche se i medici si ostinano a dire il contrario. Per Roma poi, siccome là si governa con le gambe e non con la testa, si ostinano a tenermi fuori uso".
Il Padre Taddei che conosceva bene Mons. Mazzotti e si era reso conto che effettivamente la testa era quella di sempre, profittò della venuta a Sassari di Mons. Castellano, Vescovo Domenicano assistente generale dell'Azione Cattolica, in occasione dell' Assemblea Diocesana del
l'autunno avanzato del 1959 per esprimere al Vescovo Domenicano, che era ospitato in convento, tutto il suo sdegno per il trattamento non giusto riservato a Mons. Mazzotti: Mons. Castellano rientrò a Roma e dal 31 dicembre del 1959 i poteri vennero restituiti a Mons. Mazzotti e Mons. Spanedda venne nominato suo ausiliare.
Grande parte in tale operazione ebbe l'avv. Giovanni Battista Falchi,ex deputato, Presidente della Giunta Diocesana dell'Azione Cattolica.
La caratteristica fondamentale del suo modo di avvicinarsi alle persone, del suo modo di svolgere l'impegno pastorale era di considerare personalmente e individualmente ogni persona che avvicinava.
Chi lo aveva conosciuto e aveva scambiato con lui qualche parola si rendeva conto di non essere una persona qualsiasi delle tante che nella sua molteplice attività egli era portato ad avvicinare, si accorgeva di essere davanti a lui qualcuno nei confronti del quale lui aveva una particolare attenzione. Questa capacità di creare un rapporto personale con quanti avvicinava, questa capacità di far capire a chi era stato avvicinato che non era uno dei tanti ma che era una persona da lui scrutata ed amata, era certamente una sua caratteristica comune a pochissimi. Io posso dire nella mia non breve vita di aver conosciuto solo altri tre sacerdoti che avessero questa capacità e non faccio i nomi di tutti e tre perchè non vorrei che qualcuno di quelli viventi se ne adombrasse, devo farne uno necessariamente ed è quello di Mons. Masia. Poi che la conoscenza era diventata amicizia la prima iniziativa era quella di spingere la persona ad una qualche attività apostolica. Quelli che furono spinti all'inizio a fare da insegnanti ai corsi per fidanzati, quei fidanzati che una volta sposati furono spinti poi ad andare in giro a portare le loro esperienze di vita familiare e cristiana, tutti sanno che davanti alle naturali riluttanze la sua risposta era sempre "Te tu vai".
Su questa frase tanti di noi hanno fatto cose più grandi di loro e hanno ottenuto a volte risultati insperati.
Quando il Centro della Famiglia aumentò la Sua attività e diventò enormemente assorbente per lui, facilmente avrebbe potuto chiedere che la provincia designasse un altro padre come parroco. Ma egli volle continuare ad essere parroco perchè questo gli permetteva una larga possibilità di avvicinamento di tante persone e gli permetteva insieme di intervenire in una grande opera di assistenza materiale, ma soprattutto culturale e spirituale. In fondo seguiva quello che Don Facibeni aveva fatto nella sua vita abbinando l'incarico di parroco di Rifredi con il servizio alla gioventù scompensata, quello che Don Milani aveva fatto a Barbiana abbinando il suo compito di educatore e di formatore con quello di parroco e quello che Mons. Masia ha fatto a Sassari abbinando al suo impegno di parroco di S. Giuseppe quello di educatore di tante generazioni di giovani.
La sua grande opera: il Centro di Preparazione alla Famiglia.
Mi chiedo quali siano le caratteristiche salienti del nostro Centro di Preparazione alla Famiglia e del suo consultorio. Me lo chiedo interrogando in proposito me stesso e domandandomi che cosa risponderebbero tanti soci del Centro.
Non sarebbe giusto individuare il Centro nella sua struttura giuridica di associazione non riconosciuta. Non sarebbe giusto individuarlo nelle sue tante iniziative (il consultori, corsi bimestrali per la preparazione prossima e remota al matrimonio, corsi annuali di orientamento familiare per coppie di sposi, incontri per educatori, incontri per educazione alla sessualità, all'amore ed alla salute per giovani, itinerari di fede, convegni, seminari, corsi, dibattiti sui problemi della famiglia e dell'educazione, collaborazione con le istituzioni pubbliche, private ed ecclesiali sui problemi relativi alle finalità del Centro, gruppi di studio su tematiche familiari). Non sarebbe giusto individuarlo nei numeri, seppure cospicui, dei partecipanti ai suoi corsi e iniziative.
Per me il Centro è soprattutto un'idea ed una amicizia.
Un'idea, la grande idea. Che la famiglia, quella nascente e quella in atto, ha bisogno di aiuto in una società che la stringe di assedio: e che tale aiuto deve essere dato con un particolare stile: un servizio aperto a tutti ed in tutte le situazioni senza barriere o pregiudizi o preclusioni o condizionamenti nel pieno rispetto della persona umana e dei suoi fondamentali diritti (art. 2 dello statuto). Le parole sono di Padre Taddei.
Con questo stile tutto ciò che si fa nel Centro deve essere caratterizzato, e lo è stato in questi trent'anni e più, da una particolare attenzione alle esigenze ed ai problemi dei destinatari. Non abbiamo mai fatto cose inutili e vuote: ci domandavamo sempre a chi giovava. Con spirito, è inutile dirlo, profondamente cristiano. Senza farlo pesare, senza pretendere dagli utenti condivisioni totali, ma col pensiero costante all'insegnamento ed allo stile di vita che deriva dal Cristo.
Ecco perchè il Centro col Padre Taddei si è impegnato a presentare alla cittadinanza ed al mondo ecclesiale di Sassari i grossi problemi della famiglia, i crocevia della famiglia italiana, in anteprima, quando ancora non se ne parlava: si è parlato di parità dei coniugi nel 1967 e la riforma del diritto di famiglia è intervenuta nel 1975, si è parlato di divorzio nel 1968 e la legge istitutiva è del 1970, si è parlato di controllo delle nascite nel 1972, di aborto nel 1975.
E poi amicizia perchè tutto questo lo si fa insieme con gioia. Dai momenti più alti della preghiera, dello studio, dell'approfondimento, a quelli più leggeri della festa e dei pranzi e delle cene insieme, lo stile è quello della amicizia. Dell'amicizia vera: che vuol dire interessarsi a conoscere i problemi degli altri, gioire e soffrire insieme.
C'era fino a dieci anni fa (ed ora non c'è più) un uomo, un padre, il Padre Giovanni Serafino Taddei, che impersonava l'idea e l'amicizia. Tutte le iniziative che pensava, le raccontava prima ai suoi amici del Centro per avere il conforto della esperienza di chi viveva in proprio la famiglia. Una volta lanciate le iniziative dovevano essere vissute in vera amicizia. Credo di poter dire che in amicizia è morto, con tutti gli amici del Centro stretti intorno al suo letto durante la sua degenza di giorno e di notte.
Anche oggi lo pensiamo così, con quella idea e con quella amicizia in mezzo a noi.