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Mons. Ignazio Sanna

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Sabato 26/09/2009 -  Oristano: convegno della Federazione Sarda dei Consultori di Ispirazione Cristiana - relatore Mons. Ignazio Sanna - Vescovo di Oristano

Il valore della persona umana secondo l'antropologica cristiana

1. Persona ed essere umano

1.1. Il concetto dell'essere umano come persona è prevalentemente frutto della tradizione giudaico-cristiana sulla natura e destino dell'uomo. Infatti, la verità teologica che l'uomo in tanto è uomo in quanto è persona costituisce il contributo specifico che il cristianesimo, ed in modo particolare la categoria cristiana dell'uomo immagine di Dio, ha dato alla costruzione dell'identità umana.

Questa verità teologica è continuamente sottoposta a verifica critica dagli interrogativi cruciali che le scienze umane c naturali, soprattutto quelle biologiche, continuamente le pongono, e con le quali non può non confrontarsi, nel rispetto della propria epistemologia e di quella delle altre scienze. In effetti non si è ancora concordi nel definire che cosa sia l'embrione così prodotto in laboratorio, conservato nell'azoto liquido, manipolato in provetta, inserito in un utero che potrebbe essere anche diverso da quello della donatrice.
Ci si interroga su quale sia il suo statuto giuridico e  sociale, se, cioè, sia "persona", titolare dei diritti di tutela di quell'essere umano che potenzialmente è destinato a divenire, oppure sia un semplice grumo di cellule che si può manipolare, su cui si possono fare esperimenti, che si può impiantare o, se necessario, eliminare quando sono stati prodotti in sovrannumero rispetto alla richiesta della coppia.
Rimane ancora aperto, dunque, almeno dal punto di vista della scienza biologica, l'interrogativo sullo statuto dell'embrione, su dove cominci la persona umana, e dove si debba arrestare la capacità scientifica di manipolare la vita.

1.2. La concezione cristiana di persona che viene particolarmente messa in discussione, in buona sostanza, è quella secondo cui non basta essere uomini per essere persona, ma bisogna essere persona per essere uomini. L'enunciato di questa verità, però, oggi non è immediatamente chiaro ed univoco, perché nel linguaggio comune dire persona significa. in effetti, dire uomo.
I due termini, persona e uomo, sono interscambiabili, e vengono usati per indicare la stessa realtà, perché la persona è  l'uomo e non già una proprietà dell'uomo. Anche la costituzione italiana, che ha un chiaro indirizzo "personalistico", utilizza il termine "persona" secondo questa concezione comune, ed afferma che "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana" (art. 3).
Nel linguaggio comune, dunque, uomo è sinonimo di persona. Ma mentre tutti si è d'accordo su che cosa sia uomo, non tutti si è d'accordo su che cosa sia persona, su quando l'uomo cominci ad essere persona e quando cessi di esserlo.
Mentre l'uomo è 1egato alla natura umana, alla specie, all'insieme di dati fenomenologicamente osservabili e verificabili, la persona è legata ad una interpretazione dell'essere vivente, mutuata da una visione religiosa della vita. Uomo è in rapporto alla vita come organismo biologico, determinabile, quantificabile, misurabile. Persona è in rapporto alla vita come zoe, come dinamismo interiore, come esistenza carismatica, non sempre misurabile e quantifìcabile.

Negli ultimi decenni, di fatto, hanno cominciato ad affermarsi correnti di pensiero per le quali l'equazione uomo=persona è messa in discussione, per il fatto che non ogni persona sarebbe un uomo e non ogni uomo sarebbe una persona. Il concetto di persona viene allargato ad altri esseri viventi, diversi dagli uomini, purché provvisti di un minimo grado di coscienza.
Per i fìlosofi morali Engelhardt e Singer. discriminante per il riconoscimento di un diritto alla vita non è l'appartenenza a una determinata specie biologica, ma soltanto il grado di autocoscienza, di uso della ragione e di capacità di pianifìcare il futuro che un essere vivente raggiunge. P. Singer. in modo particolare. afferma che i due termini "vita umana" ed "essere umano" non coincidono.
Tutti gli esseri che appartengono alla specie homo sapiens hanno una vita umana, per  cui hanno tale vita sia il feto che è concepito da genitori umani, sia i "vegetali umani", irreparabilmente menomati. Anche se questi ultimi si possono chiamare "esseri umani", in realtà, sono veramente "umani" soltanto quegli esseri che possiedono gli "indicatori di umanità", che sono l'autocoscienza, l'autocontrollo, il senso del futuro, il senso del passato, la capacità di porsi in rapporto con gli altri, il riguardo per altri. la comunicazione, la curiosità.
Soltanto gli esseri umani che possiedono questi indicatori di umanità sono "persone umane"; gli altri esseri umani che non li hanno fanno parte della specie umana, ma non sono persone umane. Ciò significa che possono esserci membri della specie umana che non sono persone, perché non hanno i due indicatori essenziali di umanità, quali sono la razionalità c l'autocoscienza.
La vita di questi membri della specie umana, che non sono persone. non è sacra. come vorrebbe il cristianesimo, cha ha imposto quest'idea alla civiltà occidentale. Invece, ci possono essere animali non-umani che sono persone, perché dotate di autocoscienza, come gli scimpanzé e altri animali. mentre non sono persone i feti, i neonati e i cerebrolesi. In conclusione. Singer sostiene che l'appartenenza alla specie biologica homo sapiens non autorizza un comportamento "specista" ed il conseguente riconoscimento di particolari diritti dell'uomo.

Sarà utile ricordare, per quanto riguarda l'allargamento del concetto di persona, che esso è stato reso possibile per il fatto che, nella cultura contemporanea, il concetto di persona viene elaborato più dal punto di vista psicologico che ontologico ed indica soprattutto la coscienza che si ha di se stessi. E' noto come Karl Barth prese atto che il cambiamento di linguaggio del XX secolo aveva dato al concetto di persona un senso differente da quello della Chiesa antica e del Medio Evo, e lo faceva consistere praticamente in una "coscienza di sé".
Egli, perciò, pur ritenendo utile la conservazione del termine persona nella teologia trinitaria, se non altro per riguardo alla continuità storica, propose di spiegare la triplicità divina ricorrendo all'espressione "maniera d'essere", per cui si potrebbe dire che "Dio è uno in tre maniere d'essere, il Padre, il Figlio e lo Spirito".
Ma il grande teologo evangelico era molto cosciente dei limiti della sua proposta ed ammetteva: "Noi abbiamo provato a trovare una risposta relativamente migliore di quella che contiene il concetto di "persona". I1 semplice fatto che non abbiamo potuto far altro che riprendere le indicazioni suggerite da quell'antico concetto, per raggruppare sotto la nozione, secondo noi, più adeguata di maniera d'essere, ci deve rendere perfettamente umili e coscienti dei nostri limiti.
Un semplice cambiamento di terminologia non è sufficiente a risolvere i problemi di fondo". Anche secondo Rahner, dopo la svolta antropologica, il concetto di persona si è evoluto ed è passato a significare un "soggetto di coscienza" .

2. La definizione classica di persona

Attesa l'incertezza semantica e culturale del concetto di persona, riteniamo necessario, ora, prima di esporre il significato autentico dell'essere persona, fare una premessa per richiamare brevemente alcuni punti fermi, intorno ai quali è oggi possibile trovare un sostanziale accordo per lo meno tra teologi e filosofi cristiani.

In primo luogo, in assenza di definizioni migliori, si ritiene ancora valida la classica concezione" boeziana di persona. basata su un prevalente costitutivo ontologico: una "sostanza individuale di natura razionale" o, più semplicemente, secondo S. Tommaso: un "sussistente razionale", "ciò che di più perfetto esiste nella natura". Il Magistero contemporaneo, nell'uso del concetto di persona, non è entrato nel merito della riflessione teologica.
La Pace in terris, dal canto suo, intende la persona come "una natura dotata di intelligenza e di volontà libera:. e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono, perciò, universali, inviolabili, inalienabili": EV, II, 3, p. 21).
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nel descrivere la natura e l'essenza dell'uomo, non fornisce una definizione di persona, ma ricorda che "il messaggio fondamentale della Sacra Scrittura annuncia che la persona umana è creatura di Dio (cfr Sal  139, 14-18) e individua l'elemento che la caratterizza e contraddistingue nel suo essere ad immagine di Dio" (n. 108). Per cui, "la Chiesa vede nell'uomo, in ogni uomo, l'immagine vivente di Dio stesso: immagine che trova ed è chiamata a trovare sempre più profondamente piena spiegazione di sé nel mistero di Cristo- Immagine perfetta di Dio- Rivelatore di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso" (n. 105).

La definizione classica di persona adottata dalla tradizione cristiana, essendo di prevalente carattere filosofico-teologico, non è condivisa universalmente, e tanto meno dai filosofi, medici, scienziati o giuristi, che hanno una differente visione dell'uomo e del mondo, ma che, comunque, dispongono di un orientamento filosofico.
Nell'odierno linguaggio della bioetica, dove non esiste il concetto di persona, il massimo cui si è arrivati è l'aver accettato l'espressione di "individuo umano". Il progetto di una Convenzione Europea di Bioetica, per esempio, discusso nel gennaio del 1995 dall'Assemblea del Consiglio d'Europa, non ha trovato un accordo su una definizione comune di persona e di essere umano, e si è limitata ad affermare che secondo un principio generalmente accettato "la dignità umana deve essere rispettata dall'inizio della vita", e che "all'essere umano va dato il suo senso più largo, tanto nella sua individualità quanto nella sua appartenenza alla specie".

In secondo luogo, si accetta da tutti che tra individuo e persona ci sia una distinzione concettuale, in quanto individuo ha un ambito semantico molto più ampio di quello di persona. E' individuo anche un libro, un fiore, un gatto ecc mentre persona è soltanto chi appartiene in qualche modo al mondo dello spirito. Si può dire che ogni persona è un individuo, ma non che ogni individuo sia una persona.

In terzo luogo, si riconosce che la persona è tale in forza di ciò che è e non di ciò che ha e di ciò che fa, e tanto meno in forza del riconoscimento che può ricevere dalla società e dall'altro. Pertanto, per avere la persona non si richiede che questa abbia già sviluppato le sue potenzialità.
Se si identificasse la persona con l'esercizio delle sue potenzialità, non si troverebbe nessun ostacolo teoretico per dare via libera all'aborto, all'eutanasia, alla soppressione dei ritardati mentali e dei deformi. Ciò che deve essere in atto per avere una persona non sono le sue potenze ma il suo essere. Va comunque precisato che se la dignità dell'uomo consiste nell'essere il tu di Dio e nell'essere destinato alla comunione con Lui,"allora l'esistènza di ogni uomo è legittimata prima di qualsiasi incontro interumano, indipendentemente dalla misura più o meno adeguata in cui egli possiede o non possiede i contrassegni naturali che distinguono l'essere umano dalle altre creature".

3.  L'origine della concezione della persona

Va precisato che, affermando che bisogna essere persona per essere uomini, intendiamo dire che, per quanto l'uomo, per natura, sia sempre uomo, e la sua "umanità" non possa essere indebitamente estesa ad esseri non umani, ha bisogno sempre di essere in qualche modo riferito a Dio. La fede cristiana fa di ogni essere umano una persona, e fa ciò non partendo dall'uomo, ma partendo da Dio.
Il fatto che i vari progetti della nuova evangelizzazione abbiano previsto di rifare il tessuto cristiano della società umana attraverso la ricostruzione del tessuto della comunità ecclesiale, rivela indirettamente la convinzione antropologica che il cristiano è la persona riuscita, e che solo aprendo le porte a Cristo si aprono le porte all'uomo, ad ogni uomo. Siccome l'uomo, per la Rivelazione cristiana, è creato ad immagine e somiglianza di Dio, Dio entra nella sua autocomprensione.
Il concetto di persona, nella tradizione cristiana, primariamente viene riferito a Dio e solo in un secondo tempo ed in maniera analogica viene riferito all'uomo. La Persona chiama la persona, la teologia chiama l'antropologia. E' proprio la dimensione teologica della persona che impedisce che l'uomo sia considerato "ad una sola dimensione", sia ridotto ad un solo programma biologico, ad un oggetto di sperimentazione e di cura. La medicina o le scienze biologiche in genere possono descrivere il fenomeno della nascita e della morte, possono descrivere, cioè, come si nasce e come si muore, ma non possono dire perché si nasce e perché si muore.
Il perché della vita e della morte, della salute e della malattia. per i cristiani. è "rivelato", e, quindi, è accolto nella fede, prima che compreso con la ragione. Secondo la neurofisiologia, la vita autocosciente non sarebbe altro che un processo fisico-chimico spiegabile sulla base delle leggi ordinarie della fisica e della chimica. l'esperienza mentale sarebbe un aspetto di "eventi nel cervello". Ma nessuna legge fisica o chimica. nessuna ideologia o filosofia riuscirà mai a spiegare compiutamente perché una persona dica ad un'altra persona: "io ti amo". e con questa affermazione riveli il mistero incomprensibile della libertà e dell'intelligenza dell'uomo.

L'origine più vera della concezione della persona, quindi, è teologica, anche se, per un verso, una sua idea seppure ancora confusa è già presente nella letteratura classica antica, e per un altro verso, nel corso dei secoli, questa origine teologica si è andata perdendo ed il concetto di persona si è progressivamente secolarizzato, divenendo appannaggio della filosofia e del diritto. Dalla Persona divina si passò alla persona umana, dalla teologia alla filosofia e al diritto, in una sorta di movimento circolare ove antropologia e teologia si intrecciano reciprocamente.

4. Dimensione teologica della persona.

4.1. Nel voler determinare, allora, quali siano le dimensioni costitutive della persona, quelle, cioè, che lanno sì che ogni uomo sia un uomo, è necessario partire da quella teologica, che è fondante c fondamentale, per arrivare, attraverso la necessaria mediazione di Cristo, a quella antropologica, che è derivata ed analogica.
E' la dimensione teologica che fonda e protegge l'unicità ed irripetibilità d'ogni essere umano, che rende ogni uomo una persona, un interlocutore di Dio, l'unica creatura che Dio ha voluto per se stessa (0S. 24), Come scrive Giovanni Paolo Il, "l'affermazione più radicale cd l'saltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna" (ChL. 37).

Ora, in forza di questa origine teologica della concezione della persona, l'uomo si autocomprende come soggetto spirituale dotato di valori eterni, capace di entrare in rapporto dialogico con un Dio trascendente. Quando Dio crea l'uomo non crea un oggetto in più, accanto ad altri oggetti, ma crea un tu, e lo crea chiamandolo per nome (Is 43. 1: "Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni"), ponendolo davanti a sé come un essere responsabile, un essere, cioè, che può rispondere, un partner del dialogo inter-personale.
Se, come si fa nella teologia contemporanea della creazione, si subordina la creazione all'alleanza e si sostiene che la creazione del mondo e dell'uomo è il presupposto dell'alleanza storica tra Dio e l'uomo, indirettamente, si afferma che tutte le cose esistenti sono finalizzate all'uomo. L'uomo è il "coronamento" del mondo, non a modo di abbellimento, ma come il senso cui mira intrinsecamente tutta la creazione.
Senza l'uomo, la terra è come in attesa, in stato di incompiutezza, Dio porta a termine il lavoro che aveva fatto (Gn 3,19) solo dopo la creazione dell'uomo, per cui l'uomo non esiste senza il suo mondo ed il mondo non esiste senza l'uomo. Ma l'uomo non è soltanto terra, materia, Dio gli ispira dentro un alito di vita, cioè la luce dell'autocoscienza, come è definita, appunto, l'alito di vita (Pro 20,27), così che l'uomo diventa un essere vivente, una persona.
Benché tratto dalla terra e, quindi, essenzialmente legato ad essa, l'uomo è aperto a Dio, che lo fa vivere e gli conferisce la sua precisa identità personale. Affermando che l'uomo è tratto dalla terra, si vuol dire che l'uomo appartiene al mondo e che il mondo appartiene all'uomo, in quanto è un mondo che emerge e si manifesta compiutamente nell'uomo.

Alla luce di questa realtà, quindi, la vera essenza dell'uomo non è quella di essere un microcosmo, un piccolo mondo, prendendo come luogo di riferimento antropologico il mondo, ma quella di essere creato ad immagine di Dio. Per Platone, l'immagine terrena del divino non era il singolo uomo ma il cosmo nel suo complesso.
Per la fede cristiana, invece, l'immagine del divino è nel singolo uomo, che è un piccolo dio. Il suo luogo di riferimento antropologico è Dio. Dio è il tu dell'uomo, così come l'uomo è il tu di Dio. E' Dio che dice l'uomo, e ciò che costituisce il fondamento ultimo della sua dignità è l'essere chiamato a vivere e ad agire come il tu di Dio. In quanto immagine di Dio, l'uomo è per natura indirizzato a Dio, e solo insieme con Dio può essere vero uomo.
L'essere umano, secondo la dottrina conciliare della Gaudium et Spes, è illuminato concettualmente ed esistenzialmente dal mistero del Verbo Incarnato (GS, 22). Il Dio di Gesù Cristo, il Dio Uno e Trino è la fonte principale ed in un certo senso unica di ogni enunciato antropologico.
Giovanni Paolo II ha osservato che "mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda". La separazione tra Dio e l'umanità, scrive D. Mongillo, l'opposizione tra antropocentrismo e teocentrismo condanna l'essere umano all'incomprensione radicale.
La loro unione è il nucleo del mistero antropologico visto alla luce di Gesù Cristo. In Lui, Dio e l'essere umano costituiscono un solo e medesimo mistero. Le antropologie senza teologia eludono il problema della dimensione suprema della condizione umana. Le teologie senza antropologia falsano e sfigurano il mistero di Dio. Secondo il messaggio cristiano, la teologia è antropologia e l'antropologia è teologia: Dio e l'umanità non possono essere pensati separatamente.

Perciò si falsa l'essere umano più profondo, se si vuole determinarlo solo dal basso, dal suo rapporto con il mondo della natura e del regno animale. Egli è a priori un essere responsabile verso Dio e creato per Lui, e sulla base di questa sua somiglianza divina, che costituisce la sua vera dignità, egli è fondamentalmente diverso da tutto il mondo infraumano. La sua dignità, tuttavia, non è un qualcosa di assoluto, non essendo essa collegata a qualche qualità o valore che l'uomo possiede in se stesso, come la sua anima, la sua intelligenza, la sua virtù.
Essa è qualcosa di relativo a Dio, per il fatto che deriva dall'uomo in quanto manifestazione e rivelazione di Dio in un ruolo che supera tutta la creazione visibile. Mentre le altre cose esistono solo in base ad un rapporto di dipendenza causale da Dio, e perciò manifestano al massimo la sua potenza, non già la sua natura, l'uomo è un rif1csso del mistero di Dio stesso e nel tratto essenziale più profondo del suo spirito fa diventare visibile chi e come Dio è, cioè pura persona in perfetto amore e libertà.
L'uomo è l'unico luogo nel mondo visibile nel quale Dio è riconoscibile come spirito personale, poiché egli rinvia a Dio non solo nel suo esistere, ma anche nel suo essere tale. La relativa autonomia dello spirito umano simile a Dio è la più alta, anche se sempre oscura, velata e inadeguata forma della rivelazione naturale di Dio.

Ogni uomo e tutti gli uomini sono qualcosa di unico e irripetibile; ogni uomo è un valore a sé e per sé. Il fatto che Dio abbia creato l'uomo per se stesso, come fine e non come mezzo, fa di costui un valore assoluto, che non può essere posto in funzione di nessuna realtà, sia essa la produzione, la classe, lo stato, la religione, la società.
L'uomo, come persona, è un valore assoluto, perché Dio lo considera in modo assoluto. Cristo, uomo fra gli uomini, con la sua vita e la sua opera di redenzione, ha confermato il valore assoluto della persona umana. perché è morto per ogni uomo, per ogni fratello (I Cor 8.11; I Tm 2, 5-6). Secondo E. Schoekenhoff la liturgia battesimale della Chiesa, adottando il rito dell'unzione dei re e ungendo il battezzando con il crisma, esprime la convinzione che davanti a Dio ogni uomo vale quanto un re.
Il tatto che la somiglianza con Dio, poi, sia riconosciuta indipendentemente dalla sua posizione sociale o religiosa e che non venga collegata con alcun altra condizione è una forte testimonianza del valore di ogni singola vita umana.
Un passo del Talmut, citato dal teologo moralista di Regensburg. attribuisce all'uomo il valore di tutto il mondo, quasi a dire che la vita umana, contrariamente al parere lapidario di C'aifa (Gv 18.14: "E' meglio che un uomo solo muoia per il popolo"), non è in linea di principio quantificabile e non è soggetta ad alcun calcolo utilitaristico intramondano: "Adamo fu creato come un individuo incomparabile per insegnarci che chiunque annienta una persona deve essere trattato come se avesse annientato tutto un mondo, e per insegnarci che chiunque mantiene in vita una persona va trattato come se avesse mantenuto in vita tutto il mondo". Secondo una tradizione rabbinica, Dio avrebbe proibito di fare delle sue immagini, perché la sua immagine egli se l'è fatta da sé ed è appunto l'uomo!

La concezione cristiana dell'uomo come immagine di Dio.

Anzitutto, va rilevato che il messaggio biblico dell'immagine sottolinea che tutto l'uomo è immagine di Dio, nel senso che la dimensione dell'immagine, in stretto rapporto di dipendenza dall'archetipo personale che è Dio, si estende anche alla realtà corporea e non rimane confinata solo nella realtà spirituale.
Nel passato, lontano e vicino, è spesso prevalsa nella teologia e nella pedagogia spirituale del mondo occidentale un'antropologia dualistica che, penalizzando il corpo c privilegiando lo spirito, produsse un soggetto angelicato, slegato da vincoli corporei e materiali. Nel presente, soprattutto nel mondo adolescenziale e giovanile, si avverte una situazione di disagio nel modo di gestire il rapporto con la propria corporeità, quasi si facesse fatica a concepire in unità esistenziale la dimensione spirituale-mentale-psichica e quella materiale corporea.
Gli estremi opposti di questo disagio si manifestano con il rifiuto del corpo o con la sua esaltazione quasi  feticistica, che producono una "corporeità inventata". Una corretta teologia dell'immagine corregge questa visione riduttivistica dell'uomo e della donna e ne rivaluta la dimensione integrale di spirito incarnato.
E' molto significativo che i volontari israeliani di Zaka, acronimo di "identificazione vittime di disastri", siano sempre i primi ad accorrere nei luoghi dei disastri e degli attentati, per raccogliere ogni frammento umano, fino all'ultima goccia di sangue. Essi sentono l'obbligo morale di recuperare i resti umani, perché sono profondamente convinti che il corpo donato da Dio deve essergli interamente restituito. Perciò, recuperano ogni corpo, incluso quello dell'autore della strage, con lo stesso rispetto, senza distinzione alcuna.

Il messaggio biblico dell'immagine sottolinea anche che lutti gli uomini sono immagine di Dio. L'estensione dell'immagine a tutti gli uomini, oltre a costituire la base della vera universalità della natura umana, è anche la base di una vera democraticità ed uguaglianza degli uomini.
Mentre, infatti, nella tradizione delle religioni orientali solo i sovrani erano considerati rappresentanti delle divinità nazionali, nella tradizione biblica ogni uomo in quanto tale è una manifestazione di Dio. L'iscrizione geroglifica della statua di Dario I eretta presso la porta del suo palazzo a Susa, recita che il re è "immagine vivente del Dio re, immagine fatta a completa somiglianza del Dio perfetto", risale al 500 ca. avanti Cristo e cioè allo stesso periodo in cui i sacerdoti del tempio di Gerusalemme esiliati a Babilonia redigevano il testo veterotestamentario sull'immagine di Dio.
La Bibbia aggiunge a questa democratizzazione dell'immagine anche una dimensione relazionale, interpersonale, coniugale. Gli uomini, cioè uomini e donne, sono immagine di Dio, come precisa il testo di Gn 1.27 e Gn 5.1: "Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò".
L'immagine di Dio si fonda su una relazione interpersonale e sul riconoscimento della differenza sessuale, per il fatto che la donna non deve essere pensata sul modello dell'uomo, ma come la sua partner, senza la quale non esiste rapporto di reciprocità e di interpersonalità io-tu.

In secondo luogo, l'immagine di Dio afferma che l'uomo è uomo davanti a Dio. Questo fatto evidenzia la radicale relazionalità di ogni essere umano, documentata sin dai primordi della storia della salvezza. Nel racconto genesiaco degli inizi dell'umanità, la prima parola umana è nata dal confronto e dall'accettazione dell'altro: "Questa volta è osso delle mie ossa c carne della mia carne!" (Gn  2. 23).
Il momento in cui il grido animale si fece parola umana, in una primitiva estasi poetica, fu precisamente quello in cui l'uomo si aprì alla relazione, alla comunione. E' esperienza condivisa, d'altra parte, che l'uomo vive di relazione, che ha bisogno dello sguardo d'un altro per essere veramente se stesso. Questo altro, per l'autore biblico, non può che essere Dio. L'uomo è immagine non di se stesso, ma di un Altro che egli non riuscirà mai ad afferrare e che gli sfuggirà continuamente.
Perché l'altro aspetto dell'immagine di Dio è che Dio, giustamente, non ha immagine. L'uomo allora è l'immagine di un Dio senza immagine. Il modello che è all'origine della copia non è un'immagine originale, bensì un Nome originale, un Dio senza immagine ma non senza storia. I due termini ebraici che indicano immagine e somiglianza. selem e demut, evocano una copia che esiste solo in dipendenza dal suo modello.
Perciò, il testo biblico intende affermare che per l'uomo vivere in dialogo non solo con il suo simile, la donna, ma anche con il suo dissimile, Dio, è una necessità assoluta. Come la copia non la si può capire se non in rapporto al suo modello, così non si può comprendere l'uomo se non in rapporto e in dipendenza da Dio. L'uomo è il tu di Dio nella stessa misura in cui Dio è il tu dell'uomo.

In terzo luogo, la concezione cristiana dell'uomo come immagine di Dio costituisce la base teorica e pratica del concetto della dignità dell'uomo, che fonda e solidifica la sua "umanità". La Gaudium et Spes, nell'offrire un abbozzo di antropologia cristiana, tutta centrata sul tema dell'immagine di Dio, dedica il primo capitolo della prima parte alla dignità della persona umana, e collega ad essa la costituzione corporea e spirituale dell'uomo, la sua intelligenza, con cui egli partecipa della luce della mente di Dio, la coscienza, considerata come il nucleo più segreto e il sacrario dove l'uomo è solo con Dio, la libertà, segno altissimo dell'essere creato ad immagine di Dio.
Il fallimento dell'onnipotenza della ragione ed i terribili insuccessi di questa nei campi della politica, della vita sociale, del progresso morale dell'umanità hanno obbligato la riflessione teologica a ricentrare l'antropologia cristiana sulla categoria della dignità dell'uomo, che trova il suo ultimo fondamento nell'immagine di Dio.
La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, sulla scia dell'enciclica giovannea Pacem in terris, ha come punto di partenza della propria argomentazione e come base di un'antropologia cristiana precisamente la dignità della persona umana, che deve essere rispettata in modo fondamentale da tutte le istituzioni.

L'idea della dignità dell'uomo è una categoria più universale di quella della razionalità del medesimo, perché essa è aperta a valori che non sono solo quelli razionali ed è aperta soprattutto a molteplici razionalità che non sono solo quelle della filosofia occidentale. La fede cristiana collega questo concetto di dignità dell'uomo con Dio stesso, e quindi con il trascendente, che è allo stesso tempo al di sopra e al fondamento dei valori umani.

Ignazio Sanna

Oggi é e sono le ore - Aggiornato il 23/04/2024

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